Signore, è il momento della mia preghiera.
La farò al mio scrittoio, stasera, alla luce della lampada, vicino all'ultimo compito corretto. L'ultimo per questa
sera.
E domani ricomincio.
Rivedo già la mia classe, le quaranta testoline pazze a cui devo insegnare - tant'è - delle nozioni, non tanto ridicole, in fondo.
Rivedo X..., la mia pecora nera, che avrà dimenticato una volta ancora il compito, e che avrò voglia di prendere a
schiaflì.
E Y..., che mi infastidisce, muovendosi continuamente tutta l'ora, e che sbatterò sicuramente fuori dalla porta.
E Z..., che capisce con uno, due o tre minuti di ritardo quando capita che capisca qualcosa.
Perfino i «buoni» mi stancano questa sera.
Mi pare di vederli tutti là, irrequieti, snervanti,
esigenti, incapaci di lasciarmi un minuto di riposo, sia che studino,
sia che non facciano nulla.
Signore, questa sera non ti offro nulla di straordinario.
Signore, questa sera non ti offro nulla di straordinario.
Non ho che i miei nervi tesi, il mio cattivo umore, e un
abbassamento di voce. E lo scoraggiamento che sta per venire, cui non voglio tuttavia soggiacere.
Perché domani occorrerà essere pronto e dire, con calma, senza urlare: «Un po' di silenzio, per favore... Entrate».
Come ogni mattina, da vent'anni.
Domani... Ah! vorrei ritrovare un po' del mio entusiasmo di un tempo, un po' della fierezza un tantino ingenua dei
miei primi anni.
Vorrei, Signore, offrir «loro››, ogni mattina, una voce calma, un viso rasato, un'attenzione serena.
Vorrei prenderli come sono, i miei ragazzi, proprio come sono, come ero io, quando avevo la loro età. Vorrei lavorare per loro, senza aspettarmi nulla. Non sono lì per procurarmi delle soddisfazioni. Cosa che dimentico
sempre: bisognerà che vi pensi ancora, perché è importante.
Ma non questa sera, Signore. Questa sera devo dormire.
Per loro.
LUCIEN JERPHAGNON
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