Il male procedeva incalzante, inesorabile. Franco era dimagrito considerevolmente. I periodi che riusciva a passare fuori dal letto si riducevano sempre più.
Si era fatto crescere la barba che contrastava, nera, con il pallore del suo viso smunto, nel quale gli occhi scuri brillavano di una vivacità mai compromessa dal male.
Era entrato nel suo 22° anno di età e quinto della sua malattia.
Pur non rinunciando mai alla volontà di vivere, sempre quindi disponibile alla speranza, si stava rendendo conto che la conclusione non era lontana. Talvolta arri vava anche a parlarne esplicitamente. Con alcuni amici della banda musicale - un po’ serio e un po’ scherzando - accennò ai suoi funerali; al desiderio che la banda vi suonasse. “Suonerete qui sul piazzale. Poi vi concedo una pausa sulla salita. Riprenderete al piano, lungo la strada che porta alla chiesa”.
La sua vita era un filo, ma la sua coscienza era intatta. Solo qualche periodo di nebbia: una specie di dormiveglia. Preferiva non vedere più gente. Tranne chi era entrato nel giro intimo del suo mondo. Cercavo di andare da lui ogni giorno, ed ogni volta si avvertiva che si stava spegnendo.
Il venerdì ricevette la comunione. Era ancora cosciente. Tornai nel primo pomeriggio di Sabato. Nella stanza al primo piano, attorno a Franco, ormai morente, era la mamma con alcuni parenti.
Il papà se ne stava in disparte al piano di sotto, senza sapere cosa fare,quasi sentendosi ingombrante.
E’ tipico, questo atteggiamento, del papà... E’ qualcosa di analogo a quanto avviene nel momento della venuta al mondo. Anche là la donna è protagonista, l’uomo è impacciato... E’ così che trovai il papà di Franco sulla porta della cucina tra l’abitazione e il cortile. Aveva gli occhi rossi e l’aria smarrita. Mi salutò: “Vada, vada su, ma ormai non la riconoscerà più”,“Franco, Franco, mi senti?”
“Siii. . . ! “ fu la risposta netta anche se pareva venisse da chissà quanto lontano. Chi avrebbe detto di quella presenza, ancora?!
La mamma gli teneva la mano sinistra, che il braccio teso faceva sporgere dal letto. Il babbo si spostò dalla parte opposta prese, tra le sue, la mano destra del figlio. E così tra babbo e mamma, con le braccia aperte come in croce, combatteva la sua ultima battaglia.
… Verso le 18 la mamma mi pregò di andare ad avvisare il parroco. Franco non pareva avvertire più nulla. Ogni tanto liberava le mani, le raccoglieva attorno al collo, dove cercava la catenina con appesa una crocetta d’oro: la stringeva al petto. Era un gesto che fu ripetuto insistentemente.
Alle 20 avevo un impegno preso da tempo. Ero indeciso sul da farsi. Mi chiesi quale sarebbe stato il parere di Franco. Mi avrebbe certamente detto come tante volte: “Ognuno di noi deve fare la sua strada: lei faccia quello che deve fare, come io spero di fare quello che devo”.
Fu così che, quando alle 22 spirò, io non c’ero. L’ultimo addio fu imponente per quantità e varietà di presenze. Il lunedì pomeriggio, un’ora prima della partenza del corteo, arrivai con don Pietro. Qualche minuto più tardi giunse anche don Felice che salì dai genitori. La mamma gli chiese se era disposto a confessarli. Dopo mamma e papà fu una processione di giovani, ragazzi e ragazze, che si accostarono al sacramento della riconciliazione. Di sotto, gli adulti chiesero a don Pietro di fare altrettanto.
Pareva Pasqua!
Luciano Silveri
Cammini di liberazione, Queriniana
RICERCA PERSONALE
1. Quali sono le frasi e gli atteggiamenti di Franco che ti fanno capire che egli ha accettato nella sua vita la croce? Come vivono gli altri questa situazione?
2. Nella tua vita come accetti gli imprevisti o le situazioni che ti richiedono una rinuncia, una sofferenza?
3. Credi che abbia senso, che valga la pena impiegare il tuo tempo, la tua amicizia, la tua fatica, le tue capacità. . . la tua vita, per far star bene qualcun altro? Conosci qualcuno che lo fa?
4. Come vivi le tue amicizie: sai condividere il peso di un altro. ..?
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