venerdì 17 agosto 2012

82 - COSCIENZA

LA CAPACITA’ DI DISCERNERE TRA BENE E MALE

Nel parlare quotidiano usiamo spesso il termine “coscienza” per indicare un sentimento personale che ha a che fare con consapevolezza e responsabilità. Con essa intendiamo un insieme di valori a cui orientiamo la vita in una parola la capacità di discernere tra bene e male. In tal senso parliamo di una “persona di coscienza”, per indicare chi è onesto, retto, consapevole dei propri doveri, così come diciamo ‘incosciente” chi agisce irresponsabilmente. Ma parliamo anche di “esame di coscienza” per indicare l’analisi di noi stessi, la possibilità di scandagliare la nostra interiorità e valutare comportamenti e scelte.
Nello stesso senso invochiamo il diritto ad una “obiezione di coscienza” di fronte a norme o a richieste che giudichiamo non coerenti con i valori a cui teniamo . E quante volte ci sentiamo richiamare alla “voce della coscienza” per indicare un nucleo interiore da cui partono i moti del cuore e le decisioni più serie e autentiche. Nonostante questo uso diffuso, è assai difficile dare una definizione della coscienza, poiché essa non è un organo visibile del corpo o un oggetto a noi esterno, che possiamo controllare a piacere. E’piuttosto un’esperienza che riguarda i vissuti personali, e che possiamo solo descrivere raccontando sentimenti, riflessioni, dubbi e problemi, valutazioni, scelte e comportamenti conseguenti. Ad esempio, oggi sentiamo dire da più parti che noi abbiamo “libertà di scelta”: in effetti ai supermercato troviamo numerose marche dello stesso prodotto e una varietà quasi infinita di prodotti a cui la logica del consumo ci ha abituati . Ma quale convinzione ci crea questa esperienza? In generale, che noi possiamo scegliere quello che ci pare. Allo stesso modo la TV ci offre una varietà di canali e programmi tra cui spaziare a piacimento. E anche qui esercitiamo la libertà concessa in un consumo senza freni. Da molti pulpiti poi siamo invitati a “prenderci la nostra libertà”, espressione che suggerisce una promessa di opzioni continue e continuamente rivedibili. Ma chi mai ci indica dei ‘criteri’ per esercitare questa ‘libertà di scelta’? Quali criteri riusciamo a formarci per discernere ciò che è utile e ciò che non ci serve , o è addirittura dannoso? A quale libertà stimola tale logica di consumo, applicata a tutti gli ambiti di vita?
Ecco dove entra in gioco la ‘coscienza’: se non vogliamo soccombere alla logica del ‘consumo’ estesa a tutti gli ambiti, compresa la sfera dell’amore, della fede, dei valori più personali, avvertiamo l’esigenza di un ‘consulente’ che ci aiuti a trovare criteri per le scelte, che devono essere certo libere, ma sagge.
Qui la domanda su che cos’è la coscienza si lega alle domande esistenziali e morali più impegnative: che cosa devo e posso fare (o non fare) per essere una persona ‘buona’? Chi voglio essere? Quale strada posso prendere perché la mia vita abbia una buona riuscita?
Molti hanno cercato risposte alla domanda: che cos’è la coscienza? Tommaso d’Aquino, per esempio, l’ha descritta come “l’esperienza interiore che ci aiuta a fare il bene e a evitare il male”. Ovviamente, però, Tommaso, parlando di bene e male, sapeva a che cosa si riferiva: il suo punto di riferimento principale era il vangelo cristiano. Il filosofo Kant cercò, a sua volta, di spiegare la coscienza come “la capacità di giudizio che orienta noi stessi nella vita”. E per Kant la fonte di questo orientamento era la ragione, la capacità umana di riflettere in modo critico sul proprio comportamento. San Paolo indicava ai cristiani questa strada: se veramente credi, prova a chiederti, di fronte ad una scelta importante: che direbbe Dio (in cui credo) al riguardo? Indicava così un criterio davanti a cui porsi per avere una guida. Così è nata, all’interno del contesto cristiano, la denominazione della coscienza come “voce di Dio”. Ma in modo analogo potremmo interrogarci: che cosa direbbe mia madre, mio padre... la tal persona di cui ho piena fiducia? Non si tratta di ‘voci’ esteriori. Qui si comprende come questa ‘voce’ non sia altro che una metafora per indicare la formazione ricevuta e dalla quale si attingono i criteri per agire. La coscienza, dunque, va formata, è una esperienza che ha a che fare con il processo educativo. E’ un sapere che prende forma all’interno di una comunità, come dice l’origine della parola: con-scientia. Non è facile ‘formare coscienze’. E’ il compito di dar forma a quel nucleo più profondo di noi stessi che dà dignità morale al nostro agire, e che per questo merita profondo rispetto. E il compito educativo più delicato, poiché deve formare la persona alla sua autonomia interiore, cioè a quella maturità che è capacità di consapevolezza e di responsabilità.

(Le parole dell'educazione)

Gianni Francesconi

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